Un piccolo mondo antico è finito ma...

Passano i giorni nel borgo natio. Ormai gran parte dei residenti   esce poco di casa. I giovani, in gran parte, hanno lasciato il paese per studiare o lavorare al Nord, qualcuno all’estero.  La mattina vi è ancora un po’ di movimento tra l’ufficio postale, la farmacia e le poche botteghe di generi alimentari rimaste. Qualcuno consuma qualche caffè nei bar. Dalle 13 alle 14 autobus e veicoli vari riportano a casa gli impiegati, qualche persona anziana, alcuni immigrati e gli studenti che frequentano le scuole superiori in città. Pochi ragazzi, accompagnati quasi tutti dai genitori in macchina, rientrano dalle scuole materne ed elementari o dall’ex scuola media “Verga”, oggi Istituto Comprensivo San Sperato- Cardeto.

La “crescita zero” e lo spopolamento avanzano inesorabili. Centinaia ormai gli appartamenti vuoti. Quest’ anno solo nove bambini hanno fatto le prime comunioni. Fino alle 17, le strade sono praticamente deserte di pedoni, solo qualche pensionato arranca per le strade o siede in piazza. Al tramonto, riprende un po’ di fastidioso trambusto veicolare con relativo ingorgo stradale. Causa mancanza di marciapiedi, viene difficile immaginare di fare una passeggiata in tranquillità’.

In pochi si ritrovano nei bar a parlare di calcio oppure, raramente, di altri argomenti. Dalle 19.30 in poi, specie d’inverno, pochissime le persone in giro; in compenso, qualche cane randagio gironzola in cerca di bocconi che debordano dai cassonetti dei rifiuti.

La cultura della “ruga”, complice lo spopolamento e anche una disordinata crescita urbanistica è ormai superata da un pezzo. Quasi scomparse, anche d’estate, le persone sedute nei vari rioni a chiacchierare.  Il fenomeno dei numerosi emigrati che fino a qualche tempo fa tornavano numerosi per le ferie estive è ora limitato a pochi affezionati. Le terze o quarte generazioni di emigranti preferiscono altri lidi. Non s’odono più le voci allegre di bambini che giocano nei rioni. Mancano ormai da qualche decennio, le chiacchiere d’inverno intorno al braciere. Sconosciuti ai ragazzi d’oggi i giochi della nostra infanzia: “nesci l’orso”, “una monta”, “muccia a mucciari”. Pochissimi bambini giocano ancora, in piazza (e dove se no?), al classico pallone. Con le dovute eccezioni, non esistono più le feste per i maiali allevati privatamente con le conseguenti “mangiate di frittole” inviate anche ad amici e parenti. Quasi scomparso il rito delle conserve fatte in casa. Qualche mamma di famiglia si dedica ancora stoicamente alla preparazione dei “cudhuraci” o dello stomatico. In materia di fede e religiosità, finita anche la chiesa piena di fedeli la domenica. Le folle li trovi ormai in qualche funerale o durante la festa patronale.

Ma non voglio concludere in maniera troppo pessimistica queste righe. Ed infatti è bene sottolineare che, consapevoli delle enormi responsabilità della politica nazionale e locale, che hanno mutilato le possibilità di sviluppo del territorio, le associazioni presenti, seppur composte in gran parte da “over 60 “, portano comunque avanti momenti di riflessione culturale e di aggregazione. Chiudo con una riflessione dell’antropologo calabrese Vito Teti sul senso dei luoghi: Contro ogni apparenza i luoghi abbandonati, non muoiono mai. Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità. Vivono di una loro fisicità, di una loro corposa e materiale consistenza. Si alimentano di uno spessore doppio e riflesso. Pretendono non la fissità ma al contrario il movimento, il percorso fisico e mentale di una loro continua riconquista.