Su alcune vicende edilizie nella Mosorrofa del Settecento
Siamo nell’anno 1770. All’interno del villaggio di Mosorrofa, Giuseppe Monorchio ha da poco acquistato una casa da Simone Tripepi. La cosa non va però giù a Giuseppe Romeo il quale, possedendo un orto limitante, non era stato contattato per un eventuale acquisto dell’immobile. L’uomo minaccia quindi di recarsi presso la Regia Corte della vicina città di Sant’Agata appellandosi allo jus congruis, una specie di diritto di prelazione esistente nel Regno di Napoli, ovvero l'obbligo per chi vendeva un bene di “recercare et avisare lo vicino si lo vole comprare ipso come lo vole vendere ad altri”.
Nel frattempo il Monorchio, non curante di ciò, esegue anche dei lavori, creando così ulteriori tensioni col Romeo. Ciò fa insorgere alterco verbale tra i due. Ma affinchè “in mezzo a detto litigio non si andasse per le lunghe con dispendio di tempo e denaro per entrambi le parti “alcune persone dabbene e parenti hanno deciso di fare da mediatori” per sistemare l’annosa questione.
Si raggiunge un compromesso. Il Romeo “per amor di Dio e non inquitarsi la sua coscienza” decide allora di rinunciare al diritto che, secondo lui, gli spettava e di non aggiungere altro vano vicino la casa in questione a condizione però che il Monorchio “levasse e diroccasse tutto e intero il muro che recentemente ha costruito dietro la nuova casa sino al piano terra dell’orticello” del Romeo, ma poichè attualmente “non si può fabbricare è sfabbricare senza danneggiare i cavoli che vi sono coltivati” essendo tali ortaggi tipicamente invernali, il mastro fabbricatore Crucitti si impegna, verso gli ultimi giorni del mese di aprile o principio di maggio, a fare un sopralluogo sul posto assieme al Romeo affinchè il “ripezzo” del muro sia fatto a piacimento e soddisfazione di quest’ultimo in modo che finisse ogni “talorno e litigio”. Il parroco Sebastiano Cardea, della città di S. Agata, ma residente a Mosorrofa e titolare della parrocchia di S. Demetrio, farà da garante affinchè tutto vada per il verso giusto.
Riguardo poi ad una finestra, spostata dalla sua collocazione primitiva e sistemata più in basso, viene stabilito che si riportasse o nel luogo originario oppure restasse dove al presente “si attrova”, purchè il Monorchio la chiudesse con una grata. Tra le altre condizioni vi è quella che egli non possa pretendere più di due palmi di terreno (poco più di mezzo metro) tra il muro di detta casa e l’orticello a guisa delle altre case che vi limitano.
Da un altro documento apprendiamo invece che, nel 1769, Francesco Casile del fu Giovanbattista sempre del villaggio di Mosorrofa, dichiara di possedere, nei pressi della chiesa, assieme al fratello Pasquale ed altri famigliari, una casa solarata, una casetta adiacente ed un orto d’ inverno che limitano col notaio Antonino Iero, Antonino Suraci, il Rev. Giuseppe Romeo ed il giardino della mentovata chiesa.
Le due abitazioni, tramite un atto notarile, vengono vendute per 38 ducati al suddiacono Filippo Sorgonà assieme ad uno “spazio piano per poter fabbricare altra casa”, il cui muro potrà essere situato fino alla pietra che sta posta nella cinta dentro l’orto dei due fratelli. La parete che edificherà il religioso, dovrà tirarsi per linea retta sino alla cantunera della casa solarata con poter il venditore aver il passaggio per detto orto da sotto la casa da costruire come pure deve averlo per comodo di un’altra casa solarata e del forno di cui è proprietaria Marianna Cagliostro comune madre di essi Casile. Alla stesura dell’atto sono presenti anche mastro Angelo Massara, fabbricatore e Michele Sinicropi, falegname probabilmente per una stima degli immobili.
Esso prefato Francesco Casile obbliga anche un’altra casa solarata nel convicinio la Croce che limita con il rev. cappellano Sebastiano Cardea, Antonino Morabito e piazza pubblica.